AL VIA LE PRIMARIE, I DEMOCRATICI RIACCENDONO LA SPERANZA
AL VIA LE PRIMARIE USA
(3 gennaio 2008)Qualsiasi cosa succeda nei prossimi undici mesi, questa notte, nel gelo dell'Iowa, uno degli Stati più piccoli del midwest, l'America comincerà a cambiare pelle. Poco dopo la mezzanotte italiana gli iscritti alle liste elettorali democratici e repubblicani si incontreranno in centinaia di chiese, seminterrati, centri civici in tutto lo Stato per parlare di politica e scegliere quale candidato vorrebbero vedere in corsa per la presidenza il prossimo 4 novembre.
Da una parte, tra i repubblicani, la sfida è tra Rudolph W. Giuliani, Mike Huckabee, John McCain, Ron Paul, Mitt Romney e Fred D. Thompson. Sei anche i candidati democratici: Hillary Clinton, Barack Obama, John Edwards, Joseph Biden, Bill Richardson e Christopher Dodd. Per la prima volta in ottant'anni non c'è un candidato istituzionale, un presidente che tenti la rielezione o un vice presidente che speri di succedergli: il campo è aperto a due 'nuovi'. E l'Iowa si esprime per primo. E' solo la prima tappa ma è importantissima nel lungo cammino delle primarie, che formalmente si chiude in estate. Anche se voteranno poche decine di migliaia di persone su tre milioni di abitanti, dare adesso una prova di forza sarà un vantaggio importante.
Nelle ultime ore immediatamente precedenti al voto, il dibattito tra i candidati rimane serratissimo. E mentre i repubblicani sono passati direttamente agli insulti personali (particolarmente colorito lo scambio di opinioni tra Huckabee e Romney), tra i democratici c’è grande fermento. La percezione che chi vincerà le primarie abbia ampie possibilità di diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti è molto forte tra l’opinione pubblica, stanca di una politica estera improntata sull’unilateralismo e l’aggressività, e di una politica interna incerta sia dal punto di vista economico che da quello sociale. Il tracollo dei repubblicani nelle elezioni di mid-term, svoltesi nel novembre del 2006, ha messo in evidenza in modo inequivocabile la fine della fiducia che negli ultimi anni gli americani hanno riposto nei confronti dell’amministrazione Bush.
Dopo aver ottenuto la maggioranza al Congresso, ora i Democrats puntano diritto alla Casa Bianca. La scommessa è quella di cambiare l’America, che, durante il periodo targato “neo-con”, è parso un gigante dalle immense possibilità che non è stato però in grado di interpretare e di adattarsi agli immensi cambiamenti in corso a livello planetario, soprattutto dal punto di vista geopolitico ed economico. La scommessa di democratici, sia Barak Obama, Hillary Clinton o John Edwards il candidato che correrà per lo scranno presidenziale, è quella di fare tornare gli Usa un Paese capace di suscitare fiducia e rispetto da parte della comunità internazionale. Di fare in modo che le migliori risorse degli Stati Uniti e dei suoi abitanti siano spese, ancora una volta, per il raggiungimento di un equilibrio mondiale che, oggi più che mai, pare precario e incerto.
La scommessa dei Democrats, infine, è quella di creare un Paese più giusto e, al tempo stesso, più dinamico anche al suo interno. Un Paese che sia in grado di coniugare sviluppo e crescita economica con politiche sociali volte ad assicurare a tutti più diritti e più giustizia. Un Paese che sappia fronteggiare con consapevolezza e senza paura il fenomeno dell’immigrazioe. Un Paese che sappia dare delle risposte concrete ai suoi cittadini in tema di sicurezza e che ponga fine al ricorso alla violenza come unico mezzo per difendersi. Un Paese nuovo, che riaccenda finalmente la speranza di tutti.
Da una parte, tra i repubblicani, la sfida è tra Rudolph W. Giuliani, Mike Huckabee, John McCain, Ron Paul, Mitt Romney e Fred D. Thompson. Sei anche i candidati democratici: Hillary Clinton, Barack Obama, John Edwards, Joseph Biden, Bill Richardson e Christopher Dodd. Per la prima volta in ottant'anni non c'è un candidato istituzionale, un presidente che tenti la rielezione o un vice presidente che speri di succedergli: il campo è aperto a due 'nuovi'. E l'Iowa si esprime per primo. E' solo la prima tappa ma è importantissima nel lungo cammino delle primarie, che formalmente si chiude in estate. Anche se voteranno poche decine di migliaia di persone su tre milioni di abitanti, dare adesso una prova di forza sarà un vantaggio importante.
Nelle ultime ore immediatamente precedenti al voto, il dibattito tra i candidati rimane serratissimo. E mentre i repubblicani sono passati direttamente agli insulti personali (particolarmente colorito lo scambio di opinioni tra Huckabee e Romney), tra i democratici c’è grande fermento. La percezione che chi vincerà le primarie abbia ampie possibilità di diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti è molto forte tra l’opinione pubblica, stanca di una politica estera improntata sull’unilateralismo e l’aggressività, e di una politica interna incerta sia dal punto di vista economico che da quello sociale. Il tracollo dei repubblicani nelle elezioni di mid-term, svoltesi nel novembre del 2006, ha messo in evidenza in modo inequivocabile la fine della fiducia che negli ultimi anni gli americani hanno riposto nei confronti dell’amministrazione Bush.
Dopo aver ottenuto la maggioranza al Congresso, ora i Democrats puntano diritto alla Casa Bianca. La scommessa è quella di cambiare l’America, che, durante il periodo targato “neo-con”, è parso un gigante dalle immense possibilità che non è stato però in grado di interpretare e di adattarsi agli immensi cambiamenti in corso a livello planetario, soprattutto dal punto di vista geopolitico ed economico. La scommessa di democratici, sia Barak Obama, Hillary Clinton o John Edwards il candidato che correrà per lo scranno presidenziale, è quella di fare tornare gli Usa un Paese capace di suscitare fiducia e rispetto da parte della comunità internazionale. Di fare in modo che le migliori risorse degli Stati Uniti e dei suoi abitanti siano spese, ancora una volta, per il raggiungimento di un equilibrio mondiale che, oggi più che mai, pare precario e incerto.
La scommessa dei Democrats, infine, è quella di creare un Paese più giusto e, al tempo stesso, più dinamico anche al suo interno. Un Paese che sia in grado di coniugare sviluppo e crescita economica con politiche sociali volte ad assicurare a tutti più diritti e più giustizia. Un Paese che sappia fronteggiare con consapevolezza e senza paura il fenomeno dell’immigrazioe. Un Paese che sappia dare delle risposte concrete ai suoi cittadini in tema di sicurezza e che ponga fine al ricorso alla violenza come unico mezzo per difendersi. Un Paese nuovo, che riaccenda finalmente la speranza di tutti.
leggi anche gli altri articoli si:
http://www.ulivo.it/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&sid=34&doc=104517
http://www.ulivo.it/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&sid=34&doc=104517
Commenti